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La storia; come nasce il progetto Sakido.

"Sono ormai passati anni da quando il mio collega psicoterapeuta Matteo Zanon mi parlò di un ragazzo che non voleva più andare a scuola, né uscire di casa o vedere amici, con difficoltà ad interagire in modo positivo con i familiari. Mi sembrava una cosa pazzesca, ma Matteo mi disse che si trattava di un fenomeno in espansione: nel suo studio privato iniziavano ad aumentare i casi e lui, mi confessò, non voleva gestirli da solo. Così, insieme, iniziammo a pensare che avremmo potuto lavorarci a L’Aquilone. Unendo punti di vista e competenze differenti, Matteo ed io abbiamo iniziato a porci delle domande:

Perché i ragazzi si auto-recludono? Cosa possiamo fare? Come possiamo intervenire? Qual è il ruolo della famiglia? E della scuola?

In cooperativa già esisteva, e tuttora esiste, un servizio di consulenza alle famiglie, Famiglie allo specchio: la prima risposta che ci è venuta, è stata quella di attivare tale servizio e di sfruttarne le competenze multidisciplinari. Abbiamo così iniziato ad incontrare genitori soli, genitori e ragazzi insieme, abbiamo fatto partire percorsi di consulenza e sostegno psicologico…, ma arrivati ad un certo punto ci siamo accorti che tutto questo ancora non bastava. L’intervento classico dello psicologo in studio non era sufficiente, così lo piscoterapeuta è uscito dal setting ed è entrato nelle case dei ragazzi, nelle loro stanze, si è seduto dietro una porta ed è iniziata una relazione. Questo lavoro, così delicato, ha avuto la forza di scalfire una barriera, un muro, ed uno spazio chiuso si è aperto ad una possibile relazione. In questo momento diventava centrale la presenza dell’educatore, la figura che avrebbe accompagnato la ragazza o il ragazzo in un percorso di ri-attivazione relazionale.

Ma perché a volte questo intervento ancora non bastava? Le domande ricominciarono ad affiorare numerose:

Perché i ragazzi preferiscono starsene chiusi in casa piuttosto che incontrare gli amici e fare esperienze nel mondo? Cosa li blocca o cosa li spinge a recludersi? Forse ci stanno comunicando qualcosa...

Iniziai a pensare che l’azione di autoreclusione potesse essere una scelta di opposizione e di comunicazione al mondo adulto. Le formazioni svolte mi hanno fatto riflettere su quanto una società competitiva e prestazionale come la nostra metta le persone in posizioni di scomodità e disagio e possa portare gli adolescenti al rifiuto del modello imperante proposto. Matteo, dal suo punto di vista, sosteneva la tesi del forte disagio psicologico e della fatica della costruzione della propria identità.

Il tempo è trascorso, tra domande, ricerca, riflessioni, successi ed insuccessi; abbiamo continuato a lavorare con i ragazzi, qualcuno ha fatto passi da gigante, altri invece ancora faticano. La paura del fallimento è sempre dietro l’angolo e, anche nelle migliori situazioni, possono verificarsi involuzioni o momenti critici.

I genitori di questi ragazzi sono stanchi e disorientati, si sentono sconfitti, si affidano a noi…anche loro avrebbero bisogno di aiuto. A volte vorrei abbracciarli e sostenerli (da mamma spesso penso…e se capitasse anche a me?), altre volte vorrei scuoterli e farli riflettere sulle scelte o i comportamenti attuati. Matteo ed io ci siamo resi conto che, per poter fare un lavoro efficace, sarebbe necessaria una maggiore presenza dell’educatore in casa, nel sistema famiglia, e un intervento psicologico costante (almeno quindicinale). Il costo di un tale intervento sarebbe molto elevato, abbiamo così iniziato a cercare un finanziamento che ci permettesse di sostenere questi nuclei famigliari senza gravare economicamente sulle famiglie stesse.

Infine, un ulteriore ragionamento, ha portato Matteo e me a pensare che questo fenomeno non può e non deve essere un evento privato, ma deve necessariamente coinvolgere la scuola, i servizi sociali, altre famiglie, altri colleghi, la comunità intera. Il contrasto al ritiro è la socializzazione, è la comunità, la condivisione. Crediamo che sia necessario riscoprire i legami sociali e solidaristici: e non è uno spot, ma è un modo per riportare alla luce ciò che ci rende umani, ciò che ci rende veri. Le relazioni diventano la chiave di volta di ogni possibile cambiamento.

Ed è così che abbiamo iniziato a coinvolgere colleghi nei nostri pensieri e, come un fiume che travolge, L’Aquilone è stato inondato di iniziative legate al tema del ritiro sociale: i casi presi in carico sono aumentati, abbiamo fatto una formazione per operatori, è stata realizzata una campagna di raccolta fondi per la realizzazione di un video sul tema (Fuori Camera) ed infine abbiamo scritto e presentato un progetto alla fondazione Con I Bambini. E abbiamo vinto.

Il progetto si chiama SAKIDŌ e prevede la realizzazione di una serie di azioni che partono dall’individuale per arrivare al collettivo… un po’ come il nostro modo/motto di lavorare a L’Aquilone: far divenire collettivo il progetto individuale…far sentire all’individuo di essere parte di un progetto collettivo.

In attesa che questo grosso progetto parta nel mese di aprile, il nostro lavoro quotidiano con i ragazzi non si è fermato.

Ed è così che una sera, un buffo gruppetto di persone composto da 3 ragazzi, uno psicologo e un’educatrice, si sono ritrovati in una “escape room”, un gioco nel quale i concorrenti, una volta rinchiusi in una stanza allestita a tema, devono cercare insieme una via d'uscita, utilizzando ogni elemento della struttura e risolvendo codici, enigmi, rompicapo e indovinelli. Mi è sembrata un’esperienza simbolica del processo che stiamo attraversando: insieme stiamo cercando il modo di uscire dalla stanza; mettendo in comune risorse e competenze, tenendo presente che non sempre la risposta dell’adulto è la più corretta.

Quella che ora ci aspetta è una grande avventura: molti stanno parlando di ritiro sociale in adolescenza, è un argomento troppo cool per non parlarne, ma pochi sanno quale sia la soluzione migliore. Noi ci stiamo mettendo in gioco e in discussione: stiamo sperimentando e stiamo coinvolgendo. Sento che stiamo presentando ai ragazzi degli adulti fallibili che si avvicinano e che provano a cambiare con loro.

Il progetto prevede una ricerca azione, formazione per docenti, genitori e educatori, attività laboratoriali per ragazzi e presa in carico per famiglie. Ho il segreto sogno di poter far lavorare l’intera comunità, non tanto sul tema del ritiro sociale, ma sulla presa di consapevolezza della necessità di un cambiamento culturale che dia spazio alle idee, alle diversità e alle peculiarità di ciascuno. Non siamo una massa di soggetti uguali, ma tante persone uniche che entrano in relazione".

Dott.ssa Silvia Levati, coordinatrice del progetto

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