

L'isola che non c'è... o forse sì
La mia storia di inclusione

Difficile raccontarvi qualcosa di me che già non sappiate, persone autorevoli in cooperativa vanno in giro dicendo che sono senza filtri. Pensavo però di poter approfittare della mia storia per dirvi qualcosa di voi che forse non sempre riuscite a vedere.
Questa storia inizia il 4 gennaio 2011 all’Ospedale di Circolo di Varese; inizia con un’affermazione disattenta che in pochi secondi ha stravolto la mia vita, perché nonostante prima e dopo quell’affermazione io fossi la stessa persona, quelle parole hanno completamente cambiato la prospettiva di un’esistenza. La diagnosi di una malattia porta con sé un carico tale di emozioni, paure e disorientamento, da generare una frammentazione netta tra il prima e il dopo, tra “quello che ero” e “quello che sarò” ed in questa frammentazione ciò che un po’ si perde è il presente.
Da quel momento, ci sono voluti più di due anni per riuscire a ritrovare una direzione, due anni in cui mi sono identificata con la malattia; un tempo sul cui senso ancora oggi mi interrogo, tra continui ricoveri in ospedale, ossessive e spasmodiche ricerche di una terapia che funzionasse, aspettative disattese ed un continuo frantumarsi per poi, faticosamente, ricostruirsi. Alla fine, quei due anni sono stato un tempo necessario: un tempo per comprendere, per elaborare, per accettare e poi scacciare, un tempo per ritrovare in me la forza e la motivazione per intraprendere un nuovo percorso e riappropriarmi del mio presente. Un tempo per vivere, in modo diverso, con un po’ più di lentezza e fatica, con qualche rinuncia, ma con una direzione, smettendo di girare intorno a me stessa e a quell’affermazione disattenta del 4 gennaio 2011.
Così, grazie ad un fortunato incontro con un’assistente sociale durante il mio percorso di richiesta di invalidità, vengo indirizzata al CFPIL di Varese. Avevo bisogno di acquisire nuove competenze per poter trovare un lavoro compatibile con le mie difficoltà, con la mia fragilità, ma anche adatto a me e alle mie potenziali risorse, risorse ancora presenti nonostante la malattia.
Il percorso al CFPIL meriterebbe una storia dedicata, per quanto mi ha restituito umanamente, per l’attenzione e la sensibilità con la quale sono stata trattata, per il risultato a cui ha portato. Ho incontrato persone smarrite e spaventate come me, qualcuno un po’ “storto” nel corpo, qualcuno nella testa, qualcuno dritto come un fuso, perché il suo “male” semplicemente non era evidente. Sono stata affiancata da educatori speciali, persone che ho sentito vicine dal primo istante, nonostante si sia cercato durante il percorso di mantenere la corretta e professionale distanza. Bastava uno sguardo con Maria Teresa e Fabio, loro avevano capito tutto. L’avevano capito così bene, che quando si è trattato di pensare ad un tirocinio professionalizzante adatto a me, hanno pensato a L’Aquilone!
È così che in una torrida giornata di giugno del 2013, con il cantiere Esselunga in piena attività, arrivo insieme a Maria Teresa a suonare il citofono di via V.Veneto 13/b; la voce forte e nitida di Massimo che dice “vi apro”, sempre lui ad accoglierci alla porta. “Caspita che tipo! Ben oltre le aspettative!”, ho subito pensato, e mentre ci faceva strada in direzione dell’ufficio, ho dato una gomitata a Maria Teresa e ci siamo scambiate l’occhiolino. Ho avuto chiaro fin dal primo istante che in quel luogo e con quelle persone sarei stata bene; che quelle persone e quel luogo mi avrebbero accolta. Massimo, con quel suo modo di parlare così charmant, mi ha rapita raccontandomi della Cooperativa e del vostro lavoro. Da ogni sua parola traspariva entusiasmo e movimento.
In ufficio c’era Roberta, riservata e silenziosa. È bastato del tempo per sciogliere quel silenzio e quel riserbo.
Dopo poco è arrivato Mario… atterrato da un altro tempo, da un altro mondo. Saltato fuori dalla tela del Quarto stato di Pellizza da Volpedo, lui, il personaggio che guida il corteo. Da quel momento in poi per me è sempre stato “Compagno Mario”.
Dopo pochi giorni da quella presentazione ho iniziato il mio tirocinio. Ho iniziato sistemando i faldoni che racchiudevano contratti in essere e progetti e servizi del passato, per ognuno dovevo compilare la “scheda progetto”, un buon modo per entrare nel merito dell’attività de L’Aquilone e pian piano conoscere la cooperativa.
Intanto che conoscevo la Cooperativa, sommersa da faldoni, delibere e contratti, incontravo voi.
Arrivata a questo punto della storia, mi parte il momento amarcord e non se ne esce vivi. Ricordo ogni singolo incontro, ogni presentazione; penso a chi è rimasto più simile a come l’ho incontrato e a chi è cambiato così tanto da apparirmi oggi una persona nuova, quotidianamente capace di sorprendermi. C’è chi mi ha dato la mano per presentarsi, chi mi ha abbracciata subito, chi mi ha abbracciata dopo un po’, ma quell’abbraccio è stato uno dei più intensi e veri che io abbia mai ricevuto; c’è chi mi ha presa in giro fin dal primo giorno, ma lo ha fatto con tale dolcezza da diventare per me una presenza imprescindibile. C’è stata una persona, un intero Cda anzi, che non solo mi ha spronata a cimentarmi nel fare un sito internet, ma ha fatto anche in modo che la mia farlocca e colorata creazione finisse online. C’è chi mi ascolta quasi sempre, forse perché un po’ matto, ma è la persona che mi ha dato fiducia, permettendomi di sperimentarmi e imparare.
Mi avete accolta, affiancata, sostenuta, incoraggiata a fare cose che mai avrei creduto di poter fare: il sito, il Regolamento Privacy e infine l’incarico rispetto alla comunicazione. Sono passati più di 9 anni, da circa 6 sono diventata socia, e quello che è accaduto è la cosa più bella che insieme potessimo fare: quando sono a L’Aquilone sento le mie risorse molto più forti rispetto ai miei limiti, l’immaginazione più grande del vuoto, la spinta più potente del freno. Credo che questa sia la grande possibilità che date a tutte le persone che ogni giorno incontrate e che racchiuda il senso del lavoro educativo.
Oggi, seduta qui al mio posto, mi guardo intorno e sento forte il significato che ha per me questo luogo; quel “voi” di cui fino ad ora ho parlato è diventato un “noi” ed io sono parte di un progetto comune di cui, da sempre, ho voluto essere parte.
Posso chiedermi se, senza quella diagnosi, ci sarei arrivata comunque, ma è pura ed inutile speculazione, quel che conta è esserci arrivata.
Laura